Adattamento e messa in voce di Gaetano Marino
Il nibbio, durante il primo periodo della sua esistenza, molti molti anni fa, aveva il dono della parola, certo, parlava, non era una voce bella, ma comunque pungente e aguzza. Esso, però, era sempre pieno d’invidia e grande gelosia per tutto e su tutto. Sapeva di essere imparentato con l’aquila, ma questo, invece di essere un vanto, non faceva altro che alimentare il suo livore: capiva di essere inferiore e si rodeva il fegato dalla rabbia. Come si dice da sempre? Parenti serpenti. Invidiava gli uccelli variopinti come il pappagallo e il pavone, apprezzati da tutti. Persino dell’usignolo aveva invidia e mostrava disprezzo, tanto che ogni volta che lo incontrava il nibbio pensava: “Sì, ha una bella vocina ma é troppo delicata e sdolcinatamente romantica! Roba da donnine! Io voglio una voce imponente che faccia paura!” Un bel giorno di fine estate, mentre il nibbio stava tranquillamente appollaiato sopra un ramo di quercia, giunse improvviso un cavallo. Il quadrupede sudava tanto per aver corso un bel po’, si riparò proprio all’ombra della quercia, e si sdraiò per un riposino. Ma il povero cavallo, non vedendo una spina di rovo, si punse forte, e dal dolore, nitrì così forte che persino le foglie dell’albero caddero al suolo. “Mh, però, mica male, eh?” disse il nibbio. Questa è la voce che mi vorrebbe!” Da quel giorno il nibbio iniziò a provare quella nuova voce. Provò e riprovò, per tutto il giorno e per un po’ di tempo, finché la voce gli divenne rauca e quasi sorda. Allorché il nibbio rinunciò e dovette tornare alla sua vecchia voce, esso notò che, ahimè, gli era sparita. Proprio così, il nibbio aveva, a furia di sforzarla perso la sua voce! Cosi dovette accontentarsi di un suono stridulo, che gracchiava in modo insignificante, e lo tenne per sempre!
Chi, pieno di invidia, cerca di imitare ciò che non è nella sua natura, perde anche quello che già per dote e natura possiede.
