Scritti messi voce di fiabe, favole, racconti e altre storie create da Gianni Rodari per i suoi primi Cento anni. “La fiaba è il luogo di tutte le ipotesi: essa ci può dare delle chiavi per entrare nella realtà per strade nuove, può aiutare il bambino a conoscere il mondo”.
Una volta un ragazzo di nome Tonino andò a scuola che non sapeva la lezione ed era molto preoccupato al pensiero che il maestro lo interrogasse. «Ah, – diceva tra sé, – se potessi diventare invisibile…» Il maestro fece l’appello, e quando arrivò al nome di Tonino, il ragazzo rispose: – Presente! – ma nessuno lo sentì, e il maestro disse: – Peccato che Tonino non sia venuto, avevo giusto pensato di interrogarlo. Se è ammalato, speriamo che non sia niente di grave. […]
Scritti messi voce di fiabe, favole, racconti e altre storie create da Gianni Rodari per i suoi primi Cento anni. “La fiaba è il luogo di tutte le ipotesi: essa ci può dare delle chiavi per entrare nella realtà per strade nuove, può aiutare il bambino a conoscere il mondo”.
Quelle piccole fate però possedevano un potere assai terribile. Il loro sguardo e il loro sorriso potevano imprigionare in una crisalide robusta chiunque avesse combinato delle malefatte per poi diventare folli in eterno. Così che, appena le Janas furono portate via dalle loro Domus e condotte dai Giganti nelle Grotte del Bue Marino, si tolsero i veli. E risero, risero tanto da mostrare per intero tutti i denti bianchi. Alla vista del sorriso delle Janas, quei Giganti capirono l’inganno e furono assaliti dal terrore.
Il Nuraghe, o Su Nuraxi, è un’imponente costruzione che venne tirata su migliaia d’anni fa, insieme a tantissimi altri sparsi sull’isola di Ihknos, dai Giganti di Roccia Viva. Molti Nuraghi si possono ancora ammirare, tantissimi altri sono oramai sepolti dal tempo. Ebbene, tra le famiglie di Janas c’era quella della piccola fata Annicca. La sua triste storia ebbe inizio quando arrivarono nell’isola di Ihknos i pirati Conquistadores. Purtroppo, i Giganti di Roccia Viva, che avevano sempre protetto le Janas, furono traditi e costretti con l’inganno ad abbandonare la piccola collina di Roccia Forata, dove essi avevano scavato le Domus de Janas de Su Linnàrbu.
Una fredda notte di tanto tempo fa, proprio nel tempo di Natale, c’erano due Angeli Viaggianti in cerca di una casa dove poter riposare. Il freddo non dava tregua e le loro ali erano davvero stanche. Così, durante il loro volo si fermarono nella casa di una famiglia molto ricca, ma anche molto rozza, tirchia e di pessima educazione. Tanto che agli Angeli Viaggianti non fu permesso di riposare in una delle tante stanze libere e calde della casa, ma furono alloggiati nella fredda e buia cantina della casa.
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Poi una sera il destino prese in mano quel filo misterioso che decide ogni cosa della vita, nel bene e nel male, e iniziò a scorrere tra le mani di chi avrebbe scelto tra la vita e la morte. Si alzò improvviso il vento, vento forte che infuriò in un attimo. Le onde del mare vennero a infrangersi imponenti contro la riva e le rocce. Ero sperava che Leandro fosse rimasto a terra, nell’altra sponda, ma andò comunque sulla cima della torre ad accendere la grande torcia per segnalare a Leandro il punto di approdo, come ogni sera.
Scritta da Vanda Taccia, messa in voce di Gaetano Marino
Un Contadino generoso viveva in una casupola non troppo lontano dal suo villaggio. Ogni giorno, da anni, eseguiva la sua routine: si alzava presto, faceva un’abbondante colazione con pane, latte e miele; quello buono delle sue api e quando lo finiva le sue confetture d’agrumi imperavano sul suo tavolo. In paese conoscevano bene i suoi prodotti perché spesso lui li donava. Se andava dal barbiere era pronto il vasetto di mandarini. La sartina, che spesso rammendava i suoi pantaloni, riceveva un barattolo di confettura di mirtilli raccolti con le sue mani. Era un buon uomo, non chiedeva mai nulla per sé e proprio per questo era molto amato e apprezzato dai paesani.
Scritta da Vanda Taccia, messa in voce di Gaetano Marino
Un giorno, una ragnetta assai carina scelse l’angolo buio di un vecchio tavolo, che stava abbandonato in una soffitta, per tessere la propria ragnatela e farsi una casetta solida. Era un angolo lontano dagli sguardi curiosi, dove lei avrebbe potuto mangiare e ammirare la propria bellezza. La bella ragnetta si chiamava Gna Gna, era giovane, svelta e abile nel tessere la propria tela; tanto era capace che i fili luccicavano di meraviglia, ma soprattutto non mancavano mai di catturare le prede.
Quando si sentiva l’occhio pieno, posava per un poco il piccone e, guardando la rossa fiammella fumosa della lanterna confitta nella roccia, che alluciava nella tenebra dell’antro infernale qualche scaglietta di zolfo qua e là, o l’acciajo del palo o della piccozza, piegava la testa da un lato, stiracchiava il labbro inferiore e stava ad aspettar che la lagrima gli colasse giú, lenta, per il solco scavato dalle precedenti. Gli altri, chi il vizio del fumo, chi quello del vino; lui aveva il vizio della sua lagrima.
Tra le vecchie colline della Martilla, un’antica regione di quell’isola sacra baciata dal sole, si trova l’antico villaggio di Caropepe. I suoi abitanti appartengono ad una delle più importanti e conosciute Tribù, dove nascono e vivono, ben custodite nelle sue capanne, infinite Storie di Sogni. Ebbene, proprio oggi, mentre sfogliavo un vecchio libro di fiabe nella biblioteca di Parole di Storie, d’improvviso è scivolato via dalle sue pagine un gruppetto di fogli. Questi che ora ho in mano. Ho pensato che si fossero staccati a causa dell’usura, il che capita spesso, perciò li ho subito raccolti, ma nel tentativo di rimetterli tra le pagine del libro, mi sono reso conto che questi fogli sono scritti a mano, in bella calligrafia d’inchiostro nero. […]
Ma alla dea dell’Amore, Afrodite, non fece piacere che qualcuno osasse mettere a confronto la sua bellezza con quella di una semplice mortale. Ma quando vide Psiche riconobbe, suo malgrado, che quella bellezza meritava davvero lodi e apprezzamenti assai maggiori. Afrodite decise di vendicarsi.
Un airone aveva dimora da parecchio tempo in uno stagno, finché divenne vecchio, e gli mancò la capacità di procurarsi qualche pesce e sfamarsi. Non gli rimase che trovare con la furbizia un nuovo metodo per trovare da mangiare. Fu così che si rivolse ai pesci dello stagno: “Pesci dello stagno, udite udite quale sventura cadrà su di voi tra qualche giorno: Gli uomini vogliono svuotare lo stagno dalle acque, vogliono prendervi tutti in un solo colpo.” Tutti pesci vennero a galla con gli sguardi terrorizzati. “Ma state tranquilli, – proseguì l’airone – perché io so che al di là di quella collina, si trova uno stagno meraviglioso, e assai più grande di questo.” I pesci si guardarono tra di loro, ma non sapevano che fare. “Io vi aiuterei, amici pesciolini, ma, come sapete io sono anziano e non riesco più a volare come prima. I pesci allora, assaliti dalla disperazione, iniziarono a supplicare l’airone perché li portasse al di là della collina.
Una lupa mise al mondo un lupacchiotto e invitò la comare volpe a fare da madrina. -E’ nostra parente stretta- disse -è astuta e ha molto giudizio: potrà addestrare il mio figlioletto e aiutarlo a farsi strada nel mondo.- La comare volpe fu molto onorata per l’invito e disse: – Vi ringrazio per l’omaggio che mi fate, comare lupa; io mi comporterò in modo da contentarvi-. Durante il banchetto la comare volpe mangiò quanto più potè, divertendosi allegramente, e poi disse: – Cara comare lupa, è nostro dovere provvedere al piccolo lupacchiotto; dovete nutrirvi bene perché‚ si irrobustisca. Conosco un ovile dove sarà facile prenderci un bel bocconcino-.
E ora stava lì, in mezzo alla tavola, dorato e con la pelle croccante, quell’arrosto di pollo che ancora fumava. La sua fragranza s’era sparsa per tutta la casa e persino per la via, il quartierino. Appena seduti a tavola l’uomo prese un bel forchettone un bel paio di forbici e infilzando il pollo iniziò a dividerlo in parti. Ma ad un tratto l’uomo vide sulla strada, un anziano signore, che s’accostava proprio alla porta di casa: era suo padre, l’anziano genitore.
Adattamento e messa in voce di Gaetano Marino e la partecipazione straordinaria di Marta
C’erano due galli, uno nel pollaio e uno sul tetto, entrambi molto superbi. Il pollaio era separato tramite una staccionata da un altro cortile, e là si trovava il letamaio dove cresceva un grande cetriolo che era convinto di essere una pianta di serra.
Era quello un cane grande e grosso, ma aveva un cattivo padrone, che lo lasciava senza cibo per giorni e giorni. Quando il grande cane si stufò dei maltrattamenti subiti, una notte, raccolse le sue poche cose e all’alba se ne andò, triste e sconsolato. Camina e cammina, un uccellino lo fermò: “Amico cane, dove vai con quegli occhi tristi e disperati?” Domandò l’uccellino. “Eh, dove vado? Il mio padrone era un uomo cattivo e per questo me ne sono andato via di casa. Ho camminato tanto e adesso ho tanta fame, ma non ho niente di cui nutrirmi.” Allora l’uccellino gli disse: “Amico cane, vorrei venissi con me in città: penserò io a procurarti un po’ di cibo. Ti va?” “Eh, certo che sì.” Rispose il grosso cane. E così i due amici si avviarono verso la città vicina.
C’era una volta un sarto che aveva tre figliuole, una più bella dell’altra. Sua moglie era morta da un pezzo, e lui si stillava il cervello per riuscire a maritarle. Le ragazze non avevano dote, e senza dote un marito è un po’ difficile da trovarsi. Un giorno questo povero padre pensò d’andarsene in una pianura e chiamare la Sorte: – Sorte, o Sorte! Gli apparve una vecchia, con la rocca e col fuso: – Perché mi hai tu chiamata? – Ti ho chiamata per le mie figliuole. – Portale qui ad una ad una; si sceglieranno la sorte colle loro mani.
C’era una volta un barbiere che faceva la barba alla povera gente. Scorticava le facce con un vecchio rasoio e vi trinciava braciole di carne di quando in quando. E se gli avventori si lamentavano, egli, che era di umore allegro, rispondeva: “Per un soldino, vi faccio la barba e una braciola; e brontolate? Una braciola costa di più.” Gli avventori ridevano e andavano via contenti, col viso impiastricciato di ragnateli, per stagnare il sangue.
C’era una volta un mugnaio che aveva due belle figliuole. A una avea dato nome Rota, all’altra Tramoggia. La gente che andava a macinare, vedendo le due ragazze, domandava: — Compare, ma quando maritate queste figliuole? — Quando ci sarà chi le vuole. — E che dote gli date? — Dote niente. Rota la regalo, Tramoggia la do per nulla. — Furbo siete, mugnaio!
C’era una volta un Re e una Regina che non avevano figliuoli e pregavano i santi, giorno e notte, per ottenerne almeno uno. Intanto consultavano anche i dottori di Corte. – Maestà, fate questo. – Maestà, fate quello. E pillole di qua, e beveroni di là; ma il sospirato figliuolo non arrivava. Una bel giorno ch’era freddino, la Regina s’era messa davanti il palazzo reale per riscaldarsi al sole. Passa una vecchiarella: – Fate la carità! E la regina rispose: – Non ho nulla. La vecchiarella andò via brontolando. – Che cosa ha brontolato? – domandò la Regina. – Maestà, ha detto che un giorno avrete bisogno di lei.
Traduzione di Patrizia Mureddu. Adattamento e messa in voce di Gaetano Marino In collaborazione con l’Università di Cagliari. Dipartimento di Filologia Letteratura Linguistica
Viaggiatore curioso ed instancabile, Erodoto, lo storico greco, riporta l’ascoltatore dei nostri giorni a confrontarsi con la condizione di scoperta e di magico incanto che accompagnava le sue peregrinazioni per il mondo allora conosciuto di ben duemila e cinquecento anni fa, descrivendo con vivacità usi, costumi, monumenti, animali, piante, leggende, dei numerosi paesi in cui – per un tempo più o meno lungo – si trovò a soggiornare.
La battaglia delle Termopili, il sacrificio di Leonida e i suoi trecento soldati. L’avanzata di Re Serse. La distruzione di Atene. La battaglia di Salamina, il disordine e il destino. Il coraggio e la temerarietà di Artemisia: il consiglio. La disfatta dei Persiani. La fuga e il ritorno in patria di Serse. Il sacrificio dei soldati Persiani. La terribile vendetta dell’eunuco Ermotimo. La battaglia di Platea. Intrighi e ultime vicende alla corte di Re Serse. Rapimenti e vendette.
Traduzione di Patrizia Mureddu. Adattamento e messa in voce di Gaetano Marino In collaborazione con l’Università di Cagliari. Dipartimento di Filologia Letteratura Linguistica
Viaggiatore curioso ed instancabile, Erodoto, lo storico greco, riporta l’ascoltatore dei nostri giorni a confrontarsi con la condizione di scoperta e di magico incanto che accompagnava le sue peregrinazioni per il mondo allora conosciuto di ben duemila e cinquecento anni fa, descrivendo con vivacità usi, costumi, monumenti, animali, piante, leggende, dei numerosi paesi in cui – per un tempo più o meno lungo – si trovò a soggiornare.
Il popolo immortale dei Geti. Alla conquista degli Sciti, l’ultima battaglia per un coniglio. I Peoni, la rivolta ionica. Traditori di Dario e tradimenti. Chiedere pane e acqua, sottomissione. Si può ingannare un popolo, meglio che un uomo solo. La battaglia di Maratona. Spartani e le mancate battaglie. Il re persiano Serse prosegue la volontà del padre Dario: conquistare la Grecia. Preparazione della spedizione militare dell’esercito Persiano. Costruzione del ponte per attraversare l’Ellesponto (stretto dei Dardanelli): primi fallimenti. La punizione del mare con ferro rovente e catene. La traversata del ponte: La fantastica e visionaria illustrazione degli eserciti alleati.
Traduzione di Patrizia Mureddu. Adattamento e messa in voce di Gaetano Marino In collaborazione con l’Università di Cagliari. Dipartimento di Filologia Letteratura Linguistica
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TERZA PUNTATA
Altri re d’Egitto: Rampsinito, il suo immenso tesoro e il ladro scaltro. Cheope e le grandi Piramidi, un popolo in schiavitù, il sacrificio della prima figlia. Micerino, il defunto in pegno, la preziosa e amata figliuola. Altri re d’Egitto. Persiani e la sconfitta dei Magi. Come Dario diventò re dei Persiani. L’immenso regno di Dario. Gli indiani, usi e costumi. I mangiatori d’uomini. I primi vegani della storia. Le formiche giganti e la caccia all’oro. L’Arabia e le sue straordinarie ricchezze: l’incenso e le spezie. Strane lucertole volanti. Come i cuccioli d’animali vendicano i loro padri. Sciti, sacrifici e usanze guerriere. La concia della pelle umana. Le tombe dei re Sciti, la sepoltura e la purificazione.
Traduzione di Patrizia Mureddu. Adattamento e messa in voce di Gaetano Marino In collaborazione con l’Università di Cagliari. Dipartimento di Filologia Letteratura Linguistica
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SECONDA PUNTATA
Il popolo Egiziano. Origini ed esperimenti d’antropologia sul popolo più antico della terra. Usi e costumi. Il mistero del dio fiume Nilo, la sua origine e le sue vicende al cospetto del Sole. Le imbarazzanti teorie di una terra presumibilmente rotonda. Il mondo degli animali sacri, la comparsa della misterioso uccello della fenice e il suo lungo viaggio per la sepoltura del padre. Egitto, l’arte del desinare e della medicina. Le usanze funebri. L’arte dell’imbalsamazione, le sue tecniche e le differenti categorie sociali, precauzioni. Altri re egiziani: Sesostri e la fuga dal fuoco; Ferone il re cieco e il presagio d’una moglie infedele. La vera storia del rapimento di Elena.
Traduzione di Patrizia Mureddu. Adattamento e messa in voce di Gaetano Marino In collaborazione con l’Università di Cagliari. Dipartimento di Filologia Letteratura Linguistica
Viaggiatore curioso ed instancabile, Erodoto, lo storico greco, riporta l’ascoltatore dei nostri giorni a confrontarsi con la condizione di scoperta e di magico incanto che accompagnava le sue peregrinazioni per il mondo allora conosciuto di ben duemila e cinquecento anni fa, descrivendo con vivacità usi, costumi, monumenti, animali, piante, leggende, dei numerosi paesi in cui – per un tempo più o meno lungo – si trovò a soggiornare.
PRIMA PUNTATA Perché Greci e Persiani si fecero guerra – Lidi, Gige e il Re Candaule – Persiani e Assiri, usi e costumi, – L’incredibile leggenda del Re Ciro e di suo nonno Astiage. Alla scoperta delle meraviglie di Babilonia, usi e costumi. Il popolo dei massageti e la regina Tomiri. Il terribile destino di Ciro che non volle ascoltare i consigli della regina dei Massageti.
Frammenti per voce e musica tratti da De rerum Natura. Traduzione di Alessandro Marchetti. Adattamento, drammaturgia del suono e messa in voce di Gaetano Marino Musiche di Simon Balestrazzi – TAC
“Avidamente congiungono petto a petto e bocca a bocca, e mordendosi il volto ansano indarno, poichè limar nulla possono, nè penetrar con tutto il corpo il corpo, come par che tal volta abbian talento, sì desiosamente avvolti, stan coi lacci venerei, finché, lasciati per soverchio piacer, si dissolvono i membri.”
Dalla letteratura francese del XII-XIII secolo e dintorni In collaborazione con l’Università di Cagliari, Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica, nell’ambito di un progetto di ricerca scientifica a cura del professor Maurizio Virdis, docente di Filologia e Linguistica Romanza Adattamento e messa in voce di Gaetano Marino
Presentazione Un cavaliere, “divo” dei tornei, con un passato di idolo ambito del gentil sesso e di tombeur de femmes, si innamora alfine di vero amore per una dama, sposata, che in pratica egli neppure conosce. Da lei si reca per corteggiarla e richiederla d’amore. Ma parlare di vero amore non è così semplice come quando si tenta un’effimera avventura galante: la dama non gli crede, le parole da sole non bastano. Sarà un gesto arguto e gentile del cavaliere, ormai quasi rassegnato, a risolvere la situazione e a ottenere l’amore della dama.
Dalla letteratura francese del XII-XIII secolo e dintorni In collaborazione con l’Università di Cagliari, Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica, nell’ambito di un progetto di ricerca scientifica a cura del professor Maurizio Virdis, docente di Filologia e Linguistica RomanzaAdattamento Messa in voce di Gaetano Marino
Presentazione Figlio di un vassallo fedele al re di Bretagna, Guigemar è un cavaliere coraggioso e saggio. Un giorno, durante una battuta di caccia nel mezzo di un bosco, ferisce mortalmente una cerva bianca, ma il caso volle che la freccia ferisse, di rimando, sotto la coscia e gravemente pure lui. Prima di morire la cerva parla al Cavaliere e gli predice una possibilità di salvezza: la ferita potrà guarire solo da una donna che soffrirà per amore di lui, e lui soffrirà tanto per lei. Guigemar vaga per la foresta finché non troverà un fiume e una nave riccamente decorata, ma senza equipaggio.
Traduzione di Patrizia Mureddu. Messa in voce di Gaetano Marino
Mimnermo di Colofone (VII secolo a.C) è stato un poeta elegiaco e cantore greco antico.
Saffo è stata una poetessa greca antica vissuta tra il VII e il VI secolo a.C. Di famiglia aristocratica, nacque a Ereso, nell’isola di Lesbo, dove trascorse la maggior parte della propria vita
Anacreonte nacque intorno al 570 a.C. nell’isola di Teo.
Avevano già intuito, sognato, presagito e scritto ogni soffrire dell’animo folle. Desiderato quel che ognuno dimentica nei rinnovati rimpianti, mentre sono andati via parecchi e parecchi anni; mai nessuno ha avuto tanto dalle muse. Noi possiamo solo restare basiti ed epigoni.
Traduzione di Patrizia Mureddu. Messa in voce di Gaetano Marino Università di Cagliari – Facoltà di Studi Umanistici – Dipartimento di Filologia Letteratura Linguistica
I tre brani, accomunati dal tema della presenza femminile e dell’amore, intendono mettere a confronto due modi diversi di intendere il mito e la stessa poesia: alla semplice ed arcana bellezza del mondo evocato da Omero si contrappongono le studiate scelte espressive e narrative dei due poeti-filologi alessandrini, che giocano con il modello, evocandolo o rovesciandolo. La traduzione in endecasillabi sciolti, che vuole dare conto della dimensione fortemente poetica degli originali, cerca di fare transitare nel testo italiano alcune caratteristiche stilistiche (uso della ripetizione formulare nel testo omerico; arte allusiva e divertito distacco in Apollonio e Teocrito) dei testi di partenza.
1) Omero Iliade XIV -l’inganno di Era – vv.153-360 2) Apollonio Rodio Argonautiche libro III – l’inganno di Afrodite – vv.1-160 3) Teocrito Il Ciclope innamorato
Traduzione di Patrizia Mureddu. Adattamento e messa in voce di Gaetano Marino
In collaborazione con l’Università di Cagliari – Facoltà di Studi Umanistici – Dipartimento di Filologia Letteratura Linguistica
La storia ricorda molti tribunali messi in piedi per impedire ad un cervello di pensare, o di insegnare a pensare. Nell’Atene del quattrocento avanti Cristo, quel tribunale decretò la condanna a morte di Socrate – garantendogli di fatto una fama immortale, e la capacità di trasmettere il suo insegnamento di generazione in generazione, fino ai nostri giorni.
Traduzione di Patrizia Mureddu. Messa in voce e drammaturgia del suono di Gaetano Marino. In collaborazione con l’Università di Cagliari, Dipartimento di Filologia Letteratura Linguistica
L’Iliade racconta di un evento reale, la guerra di Troia, che si concluderà con la distruzione della città per opera di una confederazione di popoli greci, forse l’ultima grande impresa prima della fine dei regni micenei, databile intorno al 1100 a.C. Sicuramente, in quegli anni non esistevano un alfabeto o dei materiali scrittori adeguati per registrare un testo poetico così lungo e complesso: per molto tempo, perciò, i fatti che diventeranno il nucleo del poema – tra i quali dovette avere un posto importante l’episodio cruciale dello scontro tra i ‘campioni’ dei due eserciti nemici, Achille ed Ettore – vennero raccontati e tramandati oralmente. Nel corso di questo processo di elaborazione, durato almeno tre secoli, si deve collocare l’attività di quel grande aedo di nome Omero che fu, secondo gli antichi, l’autore dei due grandi poemi. Radici tanto oscure e remote nel tempo spiegano perché il mondo che essi raccontano (e lo stesso modo di raccontarlo) ci può apparire estraneo, misterioso, duro. Ma proprio in questa diversità risiede gran parte del fascino di queste opere straordinarie, che hanno finito per rappresentare il principio ed il fondamento di tutta la nostra storia letteraria.
Ragionar d’amore nel Simposio di Platone, traduzione di Patrizia Mureddu, lettura teatrale a cura di Gaetano Marino
Università di Cagliari – Facoltà di Studi Umanistici. Dipartimento di Filologia Letteratura Linguistica
Nella Grecia arcaica e classica il simposio era un momento importante di incontro tra gli esponenti di uno stesso gruppo sociale e politico: nel bere assieme si rinsaldavano i legami di amicizia e di partito, si componevano liriche o si cantavano i poeti più celebri, si conversava, si scherzava, si amoreggiava. Platone ci descrive un simposio di stampo tradizionale, ma reso unico dalla presenza di Socrate. L’ambientazione è a casa del giovane tragediografo Agatone, che ha conseguito il giorno prima la vittoria al festival teatrale delle Dionisie, e completa i festeggiamenti pubblici con una cena tra pochi intimi, di cui Socrate sarà l’ospite d’onore. L’intrattenimento raffinato di questa serata d’eccezione sarà costituito da una serie di encomi su Amore: a turno, tutti i commensali si cimenteranno in un discorso di lode, fino a che Socrate, riferendo l’insegnamento ricevuto dalla sacerdotessa Diotima, raggiungerà le vette più alte del lirismo e della filosofia. Ma Platone si diverte a rappresentarci uno per uno tutti i personaggi presenti (il giovane Fedro, il politico Pausania, il medico Erissimaco, il poeta comico Aristofane, lo stesso Agatone) riproducendone attraverso il modo di parlare il carattere e la posizione sociale. Tutto si svolge con le regole della più elegante buona educazione, finché sulla scena irrompe Alcibiade ubriaco…
Adattamento, drammaturgia del suono e messa in voce di Gaetano Marino
Una fiaba adottata da Freedom LAC
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C’era una volta una povera bambina che viveva con sua madre in una piccola casetta ai margini di un villaggio. Nulla avevano più da mangiare e la fame era davvero grande. Un giorno la brava fanciulla si recò nel bosco per trovar qualcosa da calmar la fame. D’un tratto incontrò una vecchia, che già sapeva della sua miseria, e le donò una ciotolina di terracotta. “Bimba cara, tieni questa ciotolina, con questa finiranno i vostri giorni di fame, dovrai solo metterla sul fuoco e dire: – scalda la pappa, ciotolina!- e la ciotolina cuocerà una tanta pappa dolce; e quando vorrai che smetta dovrai solo dire: -Ora basta, ciotolina, smetti di scaldare!
Da lassù Zeus e i suoi alleati sferrarono l’attacco contro i nemici olimpici. La terra conobbe distruzione e devastazione. Ci furono terremoti, maremoti, tempeste, uragani. Si spostarono e si sgretolarono le montagne, i mari furono sempre in tempesta, a un passo da sommergere la terra tutta. I fiumi inondavano le terre, i laghi scomparivano sprofondando nelle viscere della terra e le valli bruciavano! Orribili crepaci, precipizi e gorghi si formarono dappertutto. Dalle fauci dei vulcani sgorgava lava e dalle crepe d’intorno si sprigionava fumo intenso, acre, che sapeva di zolfo dal colore scuro.
C’era una volta un calzolaio ridotto, dalle disgrazie, in povertà. Aveva preso moglie tardi. Rimasto vedovo, con una creaturina appena spoppata su le braccia, era stato costretto a prendere una donna che badasse all’orfanella e alle poche faccende che occorrevano in casa. La mattina, di buon’ora, egli andava in giro in cerca di scarpe vecchie da rabberciare; e appena rientrato, si metteva al lavoro. Aveva comprato alla bambina un bel seggiolino perché imparasse a camminare. La voleva sorvegliare, davanti a l’uscio; ma quando la donna non poteva sorvegliarla, per precauzione egli legava il seggiolino con una cordicella a un piede del tavolinetto da lavoro, e così stava tranquillo.
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C’erano una volta un pescatore e sua moglie che abitavano in una lurida casetta presso il mare. Erano poveri e senza figli. Il pescatore andava tutti i giorni a pescare con la lenza, ma, ahimè, la pesca non era più sufficiente per sfamare lui e sua moglie. Un giorno il pescatore se ne stava pensieroso seduto sulla sua barchetta vicino alla lenza, ad aspettare che qualche pesciolino abboccasse all’amo. Quel giorno il mare era calmo, anche più del solito, tanto che il povero pescatore divenne triste e pensò che anche quel giorno non avrebbe pescato nulla.
Voglio raccontarvi una storia fantastica che vi sembrerà davvero una storia ho visto due polli in arrosto di mare volare e crepitare nel sale di fuoco volavano rapidi e svelti come le dune con le pance rivolte dal cielo futuro spargevano ali sulle schiene che guardano giù […]
C’erano una volta tre piccoli porcellini che se ne andavano in giro per il mondo soli e soletti a cercar fortuna, e soprattutto bisognosi di una casa dove poter dormire. Il primo porcellino trovò un contadino che trascinava una grande balla di paglia. “Per favore signor contadino! Per favore contadino… signor contadino per favore… o’ contadino ma che c’hai la paglia nelle orecchie?” “Eh, sì che c’è? Chi è che chiama?” rispose il contadino. “Per favore contadino, che me la daresti quella balla di paglia?” “Questa balla di paglia?” “Che me la daresti per favore?” “E perché dovrei dartela? O’ porcellino!” “Ti, prego signor contadino, vorrei costruirmi una casa calda e bella, tutta di paglia” E l’uomo contadino, che era buono e generoso, che fece? gliela regalò. Il porcellino allora si costruì una bella casetta tutta di paglia, comoda e morbida, e andò a dormire al calduccio. La mattina dopo, appena spuntò il sole, il porcellino sentì bussare alla porta.
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Là, in mezzo al mare, nelle profondità proibite all’uomo, abita la gente del mare sconosciuta al mondo. Nel punto più lontano del fondo si trova il castello del re del mare Poseidone. Egli era vedovo da molti anni, e aveva sei figlie. Tute belle. Ma chi governava il castello era la vecchia madre del re Poseidone, e voleva molto bene alle piccole principesse del mare, le sue nipotine. Le principesse del mare erano sirene. Avevano la pelle bianca come l’avorio e delicata come un petalo di rosa bianca, gli occhi erano azzurri come il mare, ma non avevano piedi, perché il loro corpo era per metà pesce e per metà fanciulla. E al posto dei piedi possedevano una grande pinna.
C’era una volta un Re che andava sempre a piedi perché aveva paura dei cavalli.
Sono bestie, e con le bestie non ci voglio aver a che fare. Così diceva. Per questo i suoi sudditi gli avevano dato il nomignolo di re Prudenzio. Il guaio era che assieme con lui dovevano andar a piedi anche i Ministri e tutte le persone del seguito. E mentre il Re camminava avanti con quelle gambe che, a forza di esercizio, erano diventate d’acciaio, Ministri e persone del seguito, stanchi morti, grondanti di sudore, brontolavano tra i denti:
Bella fortuna, la vostra! Accompagnare i morti al camposanto e ritornarvene a casa, magari con una gran tristezza nell’anima e un gran vuoto nel cuore, se il morto vi era caro; e se no, con la soddisfazione d’aver compiuto un dovere increscioso e desiderosi di dissipare, rientrando nelle cure e nel tramenío della vita, la costernazione e l’ambascia che il pensiero e lo spettacolo della morte incutono sempre. Tutti, a ogni modo, con un senso di sollievo, perché, anche per i parenti piú intimi, il morto – diciamo la verità – con quella gelida immobile durezza impassibilmente opposta a tutte le cure che ce ne diamo, a tutto il pianto che gli facciamo attorno, è un orribile ingombro, di cui lo stesso cordoglio – per quanto accenni e tenti di volersene ancora disperatamente gravare – anela in fondo in fondo a liberarsi.
Si sentiva bruciare. Diventò Una fiamma altissima e Cassandra fece un passo indietro, spaventata. “Avrai il Dono della profezia, ma non ti servirà a nulla, perché…” Una folgore si abbatté sulla terrazza. “Nessuno, mai, ti crederà” Disse il dio. “Questa sarà la punizione per aver tradito la tua promessa!” Una pioggia pungente iniziò a scendere dal cielo, ma nessuno dei due sembrava accorgersene. “Invece che come grande sacerdotessa, verrai ricordata solo come una povera pazza! Il calore che emanava dal suo corpo era insopportabile e Cassandra si coprì il viso con il braccio. Quando lo tolse dagli occhi, Apollo era scomparso. Cassandra si guardò intorno come se vedesse quel luogo per la prima volta. Improvvisamente, tutto le era chiaro: Troia sarebbe stata distrutta dai maledetti Achei!
Una fiaba adottata da Freedom LAC e messa in voce da Gaetano Marino
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C’era una volta una ragazza pigra che non voleva filare; la madre poteva dire qualunque cosa, ma non riusciva a persuaderla. Un giorno la madre andò in collera e le scappò la pazienza, cosicché‚ la picchiò, ed ella incominciò a piangere forte. In quel momento passava di lì la regina, e quando sentì piangere fece fermare la carrozza, entrò in casa e domandò alla madre perché‚ picchiasse sua figlia, dato che si sentivano le grida da fuori.
In un tempo, assai lontano da un tempo senza tempo, c’era il nulla. O forse c’era solo un grande disordine, che di solito significa Kaos. Ebbene, in quel grande Kaos c’erano cose che non avevano forma, né colore, non facevano odore e nessun rumore. Quel nulla appariva appeso chissà come, e sospeso non si sa dove, ma soprattutto non serviva proprio a niente. Ed ecco che d’improvviso, in quell’abisso senza fondo, qualcosa prese forma. Nessuno ha mai saputo con certezza come e perché ciò accadde. Quel qualcosa si chiamò Gea, cioè, Terra, e nelle viscere di quella Terra ci stava il Tartaro, dove alloggiava il fuoco. Subito dopo apparve, sospeso ad abbracciare la terra, Eros, l’amore; che in futuro divenne un dio biricchino, dispettoso e beffardo.
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Tanto tempo fa, quando ancora il tempo era senza tempo, nelle valli, nei boschi e nelle colline di Ihknos, una grande isola posta al centro del mare, vivevano le Janas, conosciute come le piccole fate. Erano creature alate misteriose, assai piccole e straordinariamente belle. Apparivano solo nella notte, perché la luce del sole poteva rovinare la loro pelle fragile. Abitavano nei boschi, oppure vivevano nelle Domus de Janas (case delle fate) scavate nelle rocce.
Briciola dopo briciola Tante sono le storie fantastiche. Storie di cui nessuno sa quando siano cominciate, né da dove arrivate, tranne che dall’immaginazione dell’uomo. E questa è l’unica certezza. Perché le fiabe, le leggende e i racconti tratti dalla tradizione orale cominciano sempre con quel “c’era una volta”, che rimane proprio in un tempo eternamente fuori dal tempo, dunque, indefinibile. Furono storie narrate ai figli e poi ancora ai figli dei figli, finché sono giunte a noi. E nelle fiabe, si sa, il cielo non sta mai sempre in cielo, altrimenti che ci imbamboliamo a fare? Di voce in voce, di generazione in generazione, appaiono come tante briciole, ciascuna diversa dalle altre briciole. Perché ognuno ha sempre narrato secondo i propri ricordi, le proprie certezze, o dubbi, o speranze e, soprattutto, con i propri sogni; finché son venute fuori una, cento, migliaia di pagnotte: buone, profumate e calde. Ma mai nessuna uguale alle altre.
C’era una volta un Re che aveva un vocione così grosso e forte, che poteva essere udito benissimo fino a dieci miglia lontano. Quando parlava, pareva tuonasse; e per ciò gli avevano appiccicato il nomignolo di re Tuono. I Ministri e le persone di corte, dovendo praticare con lui tutti i giorni, diventavano sordi in poco tempo; ed era una disperazione. La povera gente che andava a chiedere giustizia ci rimetteva un polmone per farsi sentire, e spesso spesso non ci riusciva. Gli affari correvano a rotta di collo; la gente non ne poteva più. Ma, come dire al Re: — Maestà, siete voi che fate sordi i Ministri.
Così decise, li per li, che il mondo non avrebbe mai perduto il principe Demofonte. Anche se questo andava contro le leggi del cielo, lei l’avrebbe reso immortale! Demetra, le cui mani potevano far crescere tutte le piante dal seme al fiore, conosceva tutti i misteri della vita e della morte. Ma per dare immortalità a un mortale ci voleva tempo. Ogni notte la dea accendeva un fuoco con la legna raccolta, poi sollevava Demofonte dalla culla e lo posava, piano piano, sul fuoco magico. Il piccolo non si muoveva nemmeno. Dopo pochi minuti lo rimetteva nel suo lettino, spolverandogli la fuliggine dagli abiti con le dita leggere come ali di farfalla.
Doveva esserci qualcosa di andato a male in quella pozione magica. Era ne era convinta. Prima di restare incinta di Efesto, il dio del fuoco, chiese un afrodisiaco alla maga più conosciuta e rinomata, e cara, dell’Olimpo, e il risultato fu un figlio deforme, brutto e vendicativo. La regina dell’Olimpo però era decisa ad avere un figlio dal Capo, suo marito Zeus. Occorreva un erede al suo stato ufficiale di regina. Ma questa volta niente filtri magici, nessun intruglio strano e pericoloso. Si rivolse con temerarietà e tenacia al marito, per giorni e giorni, perseguitandolo in ogni dove e per ogni dove, finché Zeus, esausto, cedette e concesse alla propria moglie una notte d’amore.
Moltissimo tempo fa, in un piccolo paese della Bretagna, la giovane Arnaude conduceva un’esistenza felice in compagnia dei suoi genitori. In una notte di tempesta, una nave che passava di lì fu travolta dalle onde del mare e andò a conficcarsi sulle rocce della costa proprio nel punto in cui sorgeva l’abitazione della fanciulla. I suoi genitori videro con preoccupazione arrivare nella loro casa uomini di cui non conoscevano neanche la lingua, ma si tranquillizzarono non appena arrivò il capo dei naufraghi, il sultano d’Atlantide, che chiese loro ospitalità.
C’era una volta un pescatore che vivacchiava alla meglio con il raccolto della sua pesca. Partiva in barca la sera, stava a pescare tutta la nottata, e la mattina dopo all’alba era di ritorno. Quando aveva fatto una buona retata, scorgendo da lontano la moglie che lo attendeva, ansiosa, alla spiaggia, le faceva segno di rallegrarsi, agitando per aria il berretto.
Drammaturgia e messa in voce di Gaetano Marino. Musiche di Simon Balestrazzi – TAC
Ed ecco la guerra delle guerre, dove mito e storia si confondono. Nascita e sorte di Ilio, più nota con il nome di città di Troia. Intrighi e menzogne in una lotta sanguinaria che durò per ben dieci terribili anni. Ogni destino degli umani fu determinato dal volere incontrastato degli dei: imprevedibili, invidiosi, infidi e dispettosi. Tant’è che la guerra si concluse con l’astuzia di Odisseo, un inganno che negò ai Troiani persino di combattere, né dunque l’onore delle armi. OTTAVO E ULTIMO CAPITOLO Un’idea di balocchi Il cavallo di legno L’inganno di Sinone Il grido inascoltato di Cassandra L’ora ultima della città di Troia Il presagio di quel sogno di Ecuba Il sogno e la fuga di Enea
Drammaturgia e messa in voce di Gaetano Marino. Musiche di Simon Balestrazzi – TAC
Ed ecco la guerra delle guerre, dove mito e storia si confondono. Nascita e sorte di Ilio, più nota con il nome di città di Troia. Intrighi e menzogne in una lotta sanguinaria che durò per ben dieci terribili anni. Ogni destino degli umani fu determinato dal volere incontrastato degli dei: imprevedibili, invidiosi, infidi e dispettosi. Tant’è che la guerra si concluse con l’astuzia di Odisseo, un inganno che negò ai Troiani persino di combattere, né dunque l’onore delle armi. CAPITOLO SETTIMO Il vecchio Priamo chiede il corpo di Ettore La morte di Achille Il triste destino del grande Aiace Il ritorno di Filottete La morte di Paride
Drammaturgia e messa in voce di Gaetano Marino. Musiche di Simon Balestrazzi – TAC
Ed ecco la guerra delle guerre, dove mito e storia si confondono. Nascita e sorte di Ilio, più nota con il nome di città di Troia. Intrighi e menzogne in una lotta sanguinaria che durò per ben dieci terribili anni. Ogni destino degli umani fu determinato dal volere incontrastato degli dei: imprevedibili, invidiosi, infidi e dispettosi. Tant’è che la guerra si concluse con l’astuzia di Odisseo, un inganno che negò ai Troiani persino di combattere, né dunque l’onore delle armi. CAPITOLO SESTO La morte di Patroclo Il presagio di Teti Il destino di Achille Le armi del dio Efesto La pace tra Agamennone e Achille Achille ritorna a combattere Il duello tra Achille ed Ettore
Drammaturgia e messa in voce di Gaetano Marino. Musiche di Simon Balestrazzi – TAC
Ed ecco la guerra delle guerre, dove mito e storia si confondono. Nascita e sorte di Ilio, più nota con il nome di città di Troia. Intrighi e menzogne in una lotta sanguinaria che durò per ben dieci terribili anni. Ogni destino degli umani fu determinato dal volere incontrastato degli dei: imprevedibili, invidiosi, infidi e dispettosi. Tant’è che la guerra si concluse con l’astuzia di Odisseo, un inganno che negò ai Troiani persino di combattere, né dunque l’onore delle armi. CAPITOLO QUINTO La ferita dell’eroe arciere Filottete La prepotenza del re Agamennone La punizione di Apollo e la morte nera La furia di Achille L’intervento di Atena Il duello tra Paride e Menelao L’intervento di Afrodite
Drammaturgia e messa in voce di Gaetano Marino. Musiche di Simon Balestrazzi – TAC
Ed ecco la guerra delle guerre, dove mito e storia si confondono. Nascita e sorte di Ilio, più nota con il nome di città di Troia. Intrighi e menzogne in una lotta sanguinaria che durò per ben dieci terribili anni. Ogni destino degli umani fu determinato dal volere incontrastato degli dei: imprevedibili, invidiosi, infidi e dispettosi. Tant’è che la guerra si concluse con l’astuzia di Odisseo, un inganno che negò ai Troiani persino di combattere, né dunque l’onore delle armi. CAPITOLO QUARTO Paride presenta Elena alla città di Troia Il dolore di Cassandra Il sogno e la furia di Menelao Tentativo di riconciliazione La finta pazzia di Odisseo Dov’è Achille? La punizione di Artemide Il sacrificio di Ifigenia
Drammaturgia e messa in voce di Gaetano Marino. Musiche di Simon Balestrazzi – TAC
Ed ecco la guerra delle guerre, dove mito e storia si confondono. Nascita e sorte di Ilio, più nota con il nome di città di Troia. Intrighi e menzogne in una lotta sanguinaria che durò per ben dieci terribili anni. Ogni destino degli umani fu determinato dal volere incontrastato degli dei: imprevedibili, invidiosi, infidi e dispettosi. Tant’è che la guerra si concluse con l’astuzia di Odisseo, un inganno che negò ai Troiani persino di combattere, né dunque l’onore delle armi. CAPITOLO TERZO Atreo e Tieste, fratelli in odio Il macabro perdono di Atreo La rivelazione del padre di Egisto Agamennone e Menelao, fratelli in fuga Soccorso dal re Tindaro La superba Clitennestra e la bella Elena Gli eroi pretendenti di Elena La scelta di Elena e il giuramento La solitudine di Elena e l’incontro con Paride Il rapimento di Elena
Drammaturgia e messa in voce di Gaetano Marino. Musiche di Simon Balestrazzi – TAC
Ed ecco la guerra delle guerre, dove mito e storia si confondono. Nascita e sorte di Ilio, più nota con il nome di città di Troia. Intrighi e menzogne in una lotta sanguinaria che durò per ben dieci terribili anni. Ogni destino degli umani fu determinato dal volere incontrastato degli dei: imprevedibili, invidiosi, infidi e dispettosi. Tant’è che la guerra si concluse con l’astuzia di Odisseo, un inganno che negò ai Troiani persino di combattere, né dunque l’onore delle armi. CAPITOLO SECONDO Il matrimonio tra il re Peleo e la dea del mare Teti Eris, dea della disocrdia Alla più bella Il giudizio di Paride Tentativi di corruzione: Afrodite, Era e Atena Paride ritorna in patria Le tentazioni di Paride
Drammaturgia e messa in voce di Gaetano Marino. Musiche di Simon Balestrazzi – TAC
Ed ecco la guerra delle guerre, dove mito e storia si confondono. Nascita e sorte di Ilio, più nota con il nome di città di Troia. Intrighi e menzogne in una lotta sanguinaria che durò per ben dieci terribili anni. Ogni destino degli umani fu determinato dal volere incontrastato degli dei: imprevedibili, invidiosi, infidi e dispettosi. Tant’è che la guerra si concluse con l’astuzia di Odisseo, un inganno che negò ai Troiani persino di combattere, né dunque l’onore delle armi. CAPITOLO PRIMO Nascita della città di Ilio Storia del re spergiuro Laomedonte La vendetta di Poseidone Il sacrificio di Esione L’impresa di Eracle contro il mostro Idra La vendetta di Eracle Re Priamo e la regina Ecuba Principe Paride e il presagio di fuoco Il pastore Agelao e il prodigio dell’orsa La ninfa Enone
Cittadini di Tebe, guardate. Questo è Edipo, colui che fu nostro onorabile re. Egli sciolse l’enigma crudele della temibile Fenice, liberando la città dalla carestia e dal terrore. Tutti sappiamo quale fu il suo valore tra gli uomini, e anche per questo molti lo invidiarono. Ora guardate, o Tebani, a quale disperata vita lo ha condotto il destino, funesto, crudele e beffardo. Che nessuno giudichi mai felice un uomo, chiunque esso sia, prima che egli non abbia compiuto fino all’ultimo respiro il suo camino di vita e sofferto nel dolore.
C’era una volta un uomo ricco, che aveva come amici altri uomini ricchi. Grazie alla sua grande fortuna negli affari, era così ricco che ogni settimana era solito dare una grande festa nella sua lussuosa abitazione. A queste feste invitava sempre tutte le persone più importanti della città, che partecipavano a quei festini che duravano tutta la notte. Nessuno sapeva il motivo per cui non invitava mai alle sue feste i suoi fratelli, che erano molto poveri.
Erano nati da un vecchio mestolo di stagno. Erano venticinque fratelli, valorosi e temerari soldatini di stagno. Ciascuno aveva in spalla il fucile e lo sguardo fiero in avanti, ordinati e perfetti nell’inconfondibile uniforme rossa e blu. “Soldatini di Stagno, son soldatini di stagno” fu il grido che sentirono risuonare nella scatola in cui stavano conservati in bella mostra, ed era l’urlo di un bambino che dalla felicità tremava tutto e applaudiva. Era il giorno del suo compleanno e li aveva ricevuti in dono. Subito li tirò fuori e li mise in fila sul tavolo.