Messa in voce di Gaetano Marino
Il cigno piegò il flessuoso collo verso l’acqua e si specchiò a lungo. Allora capi la ragione della sua stanchezza, e di quel freddo che gli attanagliava il corpo facendolo tremare come d’inverno: con assoluta certezza egli seppe che la sua ora era suonata e che bisognava prepararsi a morire.
Le sue piume erano ancora bianche come il primo giorno della sua vita. Era passato attraverso le stagioni e gli anni senza macchiare la sua veste immacolata; ora poteva anche andarsene, concludere in bellezza la sua vicenda.
Alzando il bel collo, si diresse lento e solenne sotto ad un salice, dov’era solito riposarsi durante la calura. Era già sera. Il tramonto tingeva di porpora e di viola l’acqua del lago.
E nel grande silenzio che già scendeva tutto intorno, il cigno incominciò a cantare.
Mai aveva trovato, prima di allora, accenti così pieni d’amore per tutta la natura, per la bellezza del cielo, dell’acqua e della terra. Il suo canto dolcissimo si sparse nell’aria, velato appena di nostalgia, finché piano piano si spense, insieme all’ultima luce dell’orizzonte.
- È il cigno – dissero commossi i pesci, gli uccelli, tutti gli animali del prato e del bosco – è il cigno che muore.