Il ragno e l’uva. Una favola di Leonardo da Vinci

Adattamento e messa in voce di Gaetano Marino

Un ragno, dopo essere stato per molti giorni ad osservare il movimento degli insetti, si accorse che le mosche accorrevano specialmente verso un grappolo d’uva dagli acini grossi e dolcissimi. Ho capito. – disse fra sé. Si arrampicò, dunque, in cima alla vite, e di lassù, con un filo sottile, si calò fino al grappolo installandosi in una celletta nascosta fra gli acini. Da quel nascondiglio incominciò ad assaltare, come un ladrone, le povere mosche che cercavano il cibo; e ne uccise molte, perché nessuna di loro sospettava la sua presenza. […]

Gli uccelli e la Cerasta. Una leggenda di Leonardo da Vinci

Adattamento e messa in voce di Gaetano Marino

— Vieni a vedere! — gridò un uccellino al suo compagno. — Ci sono quattro teneri vermicelli che giocano sopra una foglia! —
Infatti, proprio ai quattro lati di una foglia, stavano quattro piccoli vermicelli, che si drizzavano dimenandosi e contorcendosi. Quell’uccellino non poté resistere alla tentazione di mangiare quei vermi, tanto teneri e ben nutriti da sembrare squisiti, e così si precipitò giù per catturarli, beccarli e divorarli. […]

Il coccodrillo e l’icnèumone. Una favola di Leonardo da Vinci

Adattamento e messa in voce di Gaetano Marino

Un coccodrillo, dopo aver ucciso un uomo che dormiva sotto una palma, versò molte lacrime. – Vedi – disse un icnèumone a suo figlio – il coccodrillo è un ipocrita, perché ora piange e fra poco divorerà la sua vittima. –
Infatti, dopo un po’, il coccodrillo si mise tranquillamente a mangiare la sua preda. Finito il pasto si addormentò sulla sponda del fiume, a bocca aperta, per consentire ad un uccellino suo amico, chiamato Trochilo, di entrar dentro a beccare gli avanzi rimastigli tra identi.
Stuzzicato piacevolmente dal diligente uccellino, il coccodrillo, nel sonno, apri ancora di più le sue poderose mascelle.
Allora l’icnèumone disse a suo figlio:

  • Ora stai bene attento. E così che si uccidono i traditori. –
    E, presa la rincorsa, si precipitò nella bocca del coccodrillo infilandosi alla svelta giù per la gola. Da quella passò nello stomaco, glielo sfondò con i denti aguzzi, quindi entrò nell’intestino facendo altrettanto.
    Il coccodrillo, svegliato di soprassalto, incominciò a rotolarsi per terra in preda al dolore, urlò sentendosi strappare le viscere, finché, dilaniato dall’icnèumone, restò a pancia all’aria, morto e stecchito.

Il bruco e la virtù. Una favola da Leonardo da Vinci.

Adattamento e messa in voce di Gaetano Marino

Eppure, stava lì, in attesa, fermo e ben saldo sul palmo di una foglia, il piccolo teneroso bruco. Il vermicello dai tanti e tanti piedini guardava con i suoi occhietti in ogni parte e in ogni dove, e girava intorno nei suoi pensieri. C’era chi sorrideva, chi salutava, chi cantava, chi saltellava, chi correva in ogni dove, e soprattutto c’era volava. Tutto era gioioso intorno, ogni cosa si muoveva e vibrava di vita felice. Solo lui, povero bruchino, non riusciva quasi più a muovere il suo corpo, non aveva mai avuto voce, né poteva muoversi veloce come gli altri, ma soprattutto, non sapeva cosa volesse dire volare. Ogni suo passaggio da una foglia all’altra gli pareva un lungo stanco e infinito viaggio. […]

La farfalla e il lume. Una favola di Leonardo da Vinci

Messa in voce di Gaetano Marino

Un parpaglione variopinto e vagabondo andava, una sera, discorrendo nel buio, quando vide in lontananza un lumicino. Subito drizzò le ali in quella direzione, e quando giunse vicino alla fiamma si mise a ruo-tarle agilmente intorno guardandola con grande meraviglia. Com’era bella!
Non contento di ammirarla, il parpaglione si mise in testa di fare con lei quello che faceva di solito coi fiori odorosi: si allontanò, si voltò, e puntando coraggiosamente il volo verso la fiamma le passò sopra sfiorandola.

L’aspide e l’Icneumone, una favola di Leonardo da Vinci

Adattamento e messa in voce di Gaetano Marino

L’aspide è un serpentello pericolosissimo per il suo veleno mortale. Al morso dell’aspide non c’è altro rimedio che di tagliare subito le parti morsicate. Eppure, questo pestifero animale ha un tale desiderio di compagnia che si muove sempre insieme a qualcuno della sua specie, maschio o femmina che sia.

La talpa e l’improvvisa luce. Una favola di Leonardo da Vinci

Messa in voce di Gaetano Marino

Una talpa, sottoterra, passeggiava per le lunghe gallerie che la sua famiglia aveva scavato e ripulito in tanti anni di lavoro. Andava avanti e indietro, saliva ai piani superiori, scendeva nelle cantine come se avesse avuto una vista buonissima; invece, come tutte le talpe, aveva gli occhi molto piccoli e poca vista.

Il falcone e l’anatra. Una favola di Leonardo da Vinci

Messa in voce di Gaetano Marino

Ogni volta che andava a caccia d’anatre, il nobile falcone si arrabbiava. Quelle anatre riuscivano quasi sempre a beffarlo, tuffandosi sott’acqua proprio all’ultimo momento, e restando sommerse più di quanto lui potesse rimanere sospeso in aria ad aspettarle.
Anche quella mattina il falcone decise di ritentare.

I tordi e la civetta. Una favola di Leonardo da Vinci

Messa in voce di Gaetano Marino

  • Siamo liberi! Siamo liberi! – gridarono un giorno i tordi, vedendo che l’uomo aveva catturato la civetta.
  • Ora la civetta non ci fa più paura. Ora dormiremo tranquilli. –
    La civetta, infatti, era caduta in un’imboscata, e l’uomo l’aveva rinchiusa in gabbia.
  • Andiamo a vedere la civetta in prigione – dicevano i tordi volando e cantando intorno alla gabbia della loro avversaria.

La scimmia e l’uccellino. Una favola di Leonardo da Vinci

Messa in voce di Gaetano Marino

Un giorno una giovane scimmia, saltando di ramo in ramo, vide un nido pieno di piccoli uccelli. Tutta contenta si avvicinò ed allungò una mano per prenderli; ma quelli, sapendo già volare, fuggirono via lasciando nel nido soltanto il più piccolo.
Allegra come una pasqua la scimmietta tornò a casa con l’uccellino; e tanto gli piaceva che cominciò ad accarezzarlo, a baciarlo, a stringer-selo al petto. Sua madre la guardava senza dir nulla.

  • Com’è carino! – gridava la scimmietta. – Gli voglio tanto bene! –
    E seguitò a baciarlo ed a stringerselo a sé, finché gli tolse la vita. Questa favola, è detta per quelli che non sanno castigare i propri figli.

Il cardellino e la libertà. Una favola di Leonardo da Vinci

Messa in voce di Gaetano Marino

Quando ritornò nel nido, con un piccolo verme in bocca, il cardellino non trovò più i suoi figlioli. Qualcuno, durante la sua assenza, li aveva rubati.
Il cardellino incominciò a cercarli dappertutto, piangendo e gridando; tutta la selva risuonava dei suoi disperati richiami, ma nessuno gli rispondeva.
Un giorno un fringuello gli disse:

  • Mi pare di aver visto i tuoi figlioli sulla casa del contadino.
    Il cardellino partì, pieno di speranza, e in breve tempo arrivò alla casa del contadino. Si posò sul tetto: non c’era nessuno. Scese sull’aia: era deserta.

Il cigno e l’ultimo canto. Una favola di Leonardo da Vinci

Messa in voce di Gaetano Marino

Il cigno piegò il flessuoso collo verso l’acqua e si specchiò a lungo. Allora capi la ragione della sua stanchezza, e di quel freddo che gli attanagliava il corpo facendolo tremare come d’inverno: con assoluta certezza egli seppe che la sua ora era suonata e che bisognava prepararsi a morire.
Le sue piume erano ancora bianche come il primo giorno della sua vita. Era passato attraverso le stagioni e gli anni senza macchiare la sua veste immacolata; ora poteva anche andarsene, concludere in bellezza la sua vicenda.
Alzando il bel collo, si diresse lento e solenne sotto ad un salice, dov’era solito riposarsi durante la calura. Era già sera. Il tramonto tingeva di porpora e di viola l’acqua del lago.
E nel grande silenzio che già scendeva tutto intorno, il cigno incominciò a cantare.
Mai aveva trovato, prima di allora, accenti così pieni d’amore per tutta la natura, per la bellezza del cielo, dell’acqua e della terra. Il suo canto dolcissimo si sparse nell’aria, velato appena di nostalgia, finché piano piano si spense, insieme all’ultima luce dell’orizzonte.

  • È il cigno – dissero commossi i pesci, gli uccelli, tutti gli animali del prato e del bosco – è il cigno che muore.

Il ragno nella buca della chiave. Una favola di Leonardo da Vinci

Messa in voce di Gaetano Marino

Un ragno, dopo avere esplorato tutta la casa, di fuori e di dentro, pensò di rintanarsi nel buco della serratura.
Che rifugio ideale! Chi lo avrebbe mai scoperto, li dentro?
Lui, invece, affacciandosi sull’orlo della toppa, avrebbe potuto guardare dappertutto senza correre alcun rischio.
Lassù diceva fra sé, sbirciando la soglia di pietra tenderò una rete per le mosche; quaggiù aggiungeva scrutando lo scalino ne tenderò un’altra per i bruchi; qui, vicino al battente dell’uscio, farò una piccola trappola per le zanzare.
Il ragno gongolava. Il buco della serratura gli dava una sicurezza nuova, straordinaria; cosi stretto, buio, foderato di ferro, gli sembrava più inattaccabile di una fortezza, più sicuro di qualsiasi armatura.
Mentre si crogiolava in questi pensieri, gli giunse all’orecchio un rumore di passi: allora, prudente, si ritirò in fondo al suo rifugio. Qualcuno stava per entrare in casa; una chiave tintinnò, s’infilò nel buco della serratura e lo schiacciò.

L’ermellino e la volpe. Una favola di Leonardo da Vinci

Messa in voce di Gaetano Marino

Una volpe stava mangiando, quando passò un elegante ermellino. – Vuoi favorire? – disse la volpe ormai sazia. Grazie, – rispose l’ermellino – ho già mangiato. –

  • Ah, ah! – rise la volpe. – Voialtri ermellini siete gli animali più modesti del mondo. Mangiate solo una volta al giorno, e preferite digiunare piuttosto che sporcarvi il vestito. –
    In quel mentre arrivarono dei cacciatori. La volpe, svelta come un lampo, si rintanò sotto terra, e l’ermellino, non meno veloce della volpe, corse verso la sua tana.
    Ma il sole aveva sciolto la neve e la tana era diventata un pantano.
    Il candido ermellino, per non strisciare nel fango, si fermò titubante. E i cacciatori lo colpirono a morte.
    La moderazione frena tutti i vizi, tanto che l’ermellino preferisce morire, piuttosto che macchiare la sua purezza.

Il toro e l’inganno dei pastore. Una favola di Leonardo da Vinci

Messa in voce di Gaetano Marino

Un toro in libertà faceva strage fra le mandrie e gli armenti. I pastori non avevano più coraggio di portare al pascolo gli animali, per via di quel selvaggio bestione che arrivava all’improvviso, caricando a testa bassa, per infilzare con le corna tutto ciò che incontrava.
I pastori, però, sapevano che il toro odiava il colore rosso; e quindi, un giorno, decisero di tendergli un tranello.
Fasciarono di stoffa rossa il grosso tronco di un albero e poi si nascosero.
Il toro, soffiando dalle narici, non si fece attendere molto.
Vedendo quel tronco rosso, abbassò la testa partendo alla carica, e con un gran fracasso inchiodò le corna nell’albero, restandovi prigioniero. Così i pastori lo uccisero.

La volpe e la gazza. Una favola di Leonardo da Vinci

Adattamento e messa in voce di Gaetano Marino

Una volpe affamata capitò, un giorno, sotto un albero dove s’era posato un branco di gazze rumorose.
La volpe, nascosta, incominciò ad osservarle, e si accorse che quegli uccelli erano sempre in cerca di cibo e non avevan paura di posarsi e di beccare nemmeno sulle carcasse degli animali. Proviamo disse fra sé la volpe.
Piano piano, senza farsi sentire, si mise lunga distesa, restando immobile, a bocca aperta, come se fosse morta.
Dopo un po’ una gazza la vide e subito si buttò giù dall’albero.
Si avvicinò alla volpe, e, credendola morta, incominciò a beccarle la lingua.
Cosi lasciò la testa nella bocca della volpe come in una tagliola.

La volpe e il caprone. Una favola di Leonardo da Vinci

Adattamento e messa in voce di Gaetano Marino

Una volpe era caduta in un pozzo e non poteva più uscirne. Un caprone assetato viene allo stesso pozzo guarda dentro e la vede: – E’ buona quest’acqua? Era la fortuna inattesa. – Se è buona! Scendi giù, amico mio! Scendi: è una delizia!
E quello stordito si caccia giù e beve sino a saziarsene. Quando ebbe bevuto, si guardò intorno. – E ora come si fa a risalire?

  • Già, è un affaraccio; ma c’è un modo di salvare te e me. Guarda: tu appoggi i piedi davanti, così, in alto, contro il muro, e rizzi le corna; io m’arrampico e poi ti tiro su. Va bene? – Facciamo pure così rispose quel bonaccione; e così fece.
    La volpe, saltando lesta lungo le gambe, le spalle e le corna del suo compagno, si trovò subito al collo del pozzo; e già se ne andava.
  • Ohé, – gridò il malcapitato – te ne vai? E così mi tradisci?
    La volpe si rivoltò verso di lui : – Se tu avessi tanti ragionamenti nella testa quanti hai peli sotto il mento non saresti sceso giù, prima d’aver pensato al modo di risalire.

Il pavone e la fame. Una favola di Leonardo da Vinci

Adattamento e messa in voce di Gaetano Marino

Il contadino parti, dopo aver chiuso la porta del cortile.
Sperava di ritornare presto, ma i giorni passavano senza che lui si facesse vedere.
Gli animali del cortile avevano fame e sete; perfino il gallo non cantava più.
Stavano tutti immobili, per non consumare le forze, sotto l’ombra di una pianta.
Soltanto il pavone, anche quel giorno, si levò barcollando sulle zampe, apri a ventaglio la sua grande e variopinta coda, e incominciò a passeggiare avanti e indietro.

  • Mamma – domandò una magra gallinella alla chioccia – perché il pavone fa la ruota tutti i giorni? –
  • Perché è vanesio, figlia mia; e l’ambizione è un vizio che scompare soltanto con la morte

Le Gru. Una favola di Leonardo da Vinci

Adattamento messa in voce di Gaetano Marino

Un famoso re era conosciuto per la sua saggezza e bontà. Ma ahimè, l’invidia d’altri re gli aveva creato intorno molti nemici, assassini, crudeli e spietati. Le gru, sue fedeli e leali guardie da sempre, stavano in pensiero per lui. Era la notte che dava più pensieri, specialmente quando le difese apparivano più deboli nell’oscurità, e i nemici potevano entrare di nascosto a palazzo.
— Che fare? — si domandarono le gru. — I soldati, invece di fare la guardia, si addormentano; sui cani, sempre a caccia e sempre stanchi, non c’è da fare alcun affidamento. Dunque, tocca a noi, le fedeli gru, sorvegliare il palazzo e far dormire al nostro re sonni tranquilli e sicuri.
E così le fedeli gru decisero di trasformarsi in sentinelle: si divisero in gruppi, e distribuirono in gruppi i vari turni di guardia, assegnando a ciascuna gru una zona d’intorno al castello.
Il gruppo più numeroso si distribuì lungo il grande prato che circondava il palazzo dove il re alloggiava con i suoi cari; un altro gruppo si mise davanti alle tante porte d’ingresso; un terzo, infine, decise di stabilirsi nella camera del re per sorvegliarlo a vista.
— È se ci prende il sonno? — domandarono alcune.
— Contro il sonno — rispose la gru più anziana — prenderemo tutte un sasso dello stagno, lo stringeremo forte con un piede, che terremo alzato quando stiamo ferme. Se qualcuna di noi si dovesse addormentare, il sasso le cadrebbe per terra e col suo rumore la sveglierebbe.
Da quel giorno, le gru stando ferme su una gamba fanno la guardia al re. E nessuna, ancora, ha lasciato cadere il suo sasso.

La Lumerpa. Una favola di Leonardo da Vinci

Adattamento e messa in voce di Gaetano Marino

Nelle immense montagne dell’Asia, dove la solitudine appare meraviglia e vita piena, vive un uccello che sa di magia: straordinario e meraviglioso. Il suo canto è dolcissimo e amabile, il suo volo è maestoso. Il suo corpo non fa ombra perché le sue piume e le sue penne risplendono così tanta luce da essere uguali alla luce del sole.
Anche quando la vita abbandona il suo corpo, da morto questo uccello straordinario appare magicamente vivo. Niente e nessuno può spegnerlo; il suo corpo non getta ombra, non si consuma, non deteriora, né marcisce, e le sue penne lucenti continuano a risplendere, proprio come quando era vivo. Se però qualcuno prova a staccargli una penna per farsi luce, questa si spegne subito. Questo uccello rarissimo si chiama lumerpa; ed è simile alla fama e al ricordo di alcuni uomini; esso rimane grande, intatto, e nessuno e niente possono distruggerlo.

La fenice, una favola di Leonardo da Vinci.

Adattamento e messa in voce di Gaetano Marino

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è fenice-800x800.jpg

Volando e volando, fluttuando nell’aria calda tra il deserto ed il mare, la fenice, un’aquila possente e straordinariamente forte, vide in lontananza il fuoco di un grande accampamento, doveva essere una tribù sconosciuta. Fu Allora che la Fenice capì che il tempo della grande prova era finalmente giunto.
Doveva aver fiducia, doveva abbandonarsi sicura e tranquilla al suo destino.
Il destino del tempo senza tempo, dove il principio non aveva una fine. Dove ogni cosa accadeva senza uno scopo, accadeva e basta.
La Fenice si librò solenne e decisa nell’aria, ad ali ferme, robuste e tese, e salì salì salì sin oltre le nuvole, poi chiuse gli occhi, e con larghe ruote, iniziò la sua poderosa discesa.
Era la più grande di tutte le aquile conosciute al mondo, la più bella, per il ricco e vivido piumaggio di mille colori.
Quando fu sopra al fuoco del bivacco sentì la fiamma sfiorarle le piume e, fedele a se stessa e al suo destino segnato, si lasciò cadere sulle fiamme.
Ma quando il fuoco si spense, dal mucchio delle ceneri si sprigionò una fiamma piccola azzurra; fluttuò nell’aria, libera, e si levò in alto aprendosi come se avesse le ali.
E le ali s’allargarono quasi all’infinito: Era la fenice che riprendeva vita, respiro, luce, e rinasceva dalle sue ceneri per vivere nel cielo altri cinquecento anni. Sempre così: era il suo compito: morire sul fuoco e rinascere.

Il granchio ingannatore e i pesciolini. Una favola di Leonardo da Vinci

Adattamento e messa in voce di Gaetano Marino

Una favola donata ai piccoli Gabriele e Federico dalla nonna Adriana e dal nonno Graziano

Il granchio ingannatore e i pesciolini
Un granchio si accorse che molti pesciolini, anziché avventurarsi nel fiume, preferivano aggirarsi prudenti intorno ad un masso. L’acqua era limpida come l’aria, e i pesci nuotavano tranquilli godendosi l’ombra e il sole.
Il granchio attese la notte, e quando fu sicuro che nessuno lo avrebbe visto, andò a nascondersi sotto il masso.
Da quel nascondiglio, come un orco dalla sua tana spiava i pesciolini, e quando gli passavano vicino li acciuffava e li mangiava.
Non è bello ciò che stai facendo – brontolò il masso – Approfitti di me per uccidere questi poveri innocenti.
Il granchio non ascoltò nemmeno. Felice e contento seguitava a catturare i pesciolini trovandoli di un sapore prelibato.
Ma un giorno, all’improvviso, venne la piena. Il fiume si gonfiò, investì con grande forza il masso, che rotolò nel letto del fiume, schiacciando il granchio che gli stava sotto.

Il ragno e l’ape. Una favola di Leonardo da Vinci

Adattamento e messa in voce di Gaetano Marino

Una fresca mattina di primavera un’ape operaia andava in un prato rigoglioso svolazzando di fiore in fiore, in cerca di polline. All’improvviso, uscendo dalla corolla di una campanula, finì intrappolata nella rete di un ragno. Nascosto dietro una grande foglia di fico, il piccolo ragno si rallegrò e corse verso la sua preda.
— Sei un traditore! — gli gridò l’ape. — Tendi le tue trappole per uccidere chi lavora! —
Il piccolo ragno si avvicinò ancora di più, e l’ape, voltandosi, cercò di infilzarlo sfoderando dall’addome il lungo e pericolosissimo pungiglione.
Ma il ragno si scansò appena in tempo e saltando addosso all’ape le disse tenendola ben stretta.
— Ape, ma con quale diritto osi tu giudicarmi? — Tu sei come l’inganno e la frode: hai il miele in bocca, ma di dietro porti il veleno con il tuo pungiglione.

Una fresca mattina di primavera un’ape operaia andava in un prato rigoglioso svolazzando di fiore in fiore, in cerca di polline. All’improvviso, uscendo dalla corolla di una campanula, finì intrappolata nella rete di un ragno. Nascosto dietro una grande foglia di fico, il piccolo ragno si rallegrò e corse verso la sua preda.
— Sei un traditore! — gli gridò l'ape. — Tendi le tue trappole per uccidere chi lavora! —
Il piccolo ragno si avvicinò ancora di più, e l’ape, voltandosi, cercò di infilzarlo sfoderando dall’addome il lungo e pericolosissimo pungiglione.
Ma il ragno si scansò appena in tempo e saltando addosso all’ape le disse tenendola ben stretta.
— Ape, ma con quale diritto osi tu giudicarmi?  — Tu sei come l’inganno e la frode: hai il miele in bocca, ma di dietro porti il veleno con il tuo pungiglione.

I dragoni e le anatre. Una favola di Leonardo da Vinci

Adattamento e messa in voce di Gaetano Marino

In quella palude, d’improvviso, tutte le anatre si levarono in volo: qualcuno le aveva avvertite appena in tempo, prima che i dragoni le attaccassero.
Dall’alto, esse videro infatti, sulla riva, un gran numero di serpenti: avevano tutti una cresta e grosse zampe munite di artigli.
I dragoni decisero di attraversare la palude per andare in cerca di cibo sull’altra sponda; ma non sapevano nuotare.
Allora incrociarono e intrecciarono gli uni agli altri i loro lunghi corpi, si disposero come la trama di una rete, facendo una sola superficie che sembrava un enorme trappola, e tenendo tutti la testa fuori dall’acqua attraversarono insieme la palude come se fossero su una zattera prodigiosa.
“Lo vedete?” gridò l’anatra più anziana alle compagne. “Vedete che cosa si può fare stando uniti?” Tutti per uno, uno per tutti!

Il nibbio. Una favola di Leonardo da Vinci

Adattamento e messa in voce di Gaetano Marino

Un nibbio, che aveva fatto un nido sulla cima di un altissimo pino, ruotava nel cielo ad ali aperte facendosi condurre dal vento.
Con la sua vista acutissima egli scorgeva i pesci guizzare a fior d’acqua nello stagno luccicante come uno specchio: ma, anche quel giorno, decise di lasciare a digiuno i suoi figlioli. Ma non era egoismo o cattiveria. No. Il nibbio, infatti, quando tornò nel nido, i piccoli affamati spalancarono come sempre il loro becco, ma lui li beccò forte sulle
costole e li guardò adirato negli occhi.
— No, cari figliluoli, oggi non vi darò nulla da mangiare — disse. — Siete troppo grassi. Siete ingordi. Sappiate che il nibbio, la nostra razza, è un uccello che batte poco le ali e deve cercare sempre il corso favorevole o contrario del vento; se il vento regna in alto, il nibbio deve salire in alto; se il vento domina in basso, il nibbio deve scendere in basso. Ma se il vento non c’è, il nibbio deve fluttuare in alto a forza di battere le ali e, di lassù, poi, planare lento, e poi tornare su in alto, con fatica, e discendere
ancora.
E chi è grasso come voi non ce la può fare, di sicuro, e rischierà di morir di fame. E dunque, ecco perché pure oggi, vi terrò a digiuno! Per il vostro bene.

Il Macli, una favola-leggenda di Leonardo da Vinci

Adattamento e messa in voce di Gaetano Marino

Nella lontana Scandinavia, su, al nord, tanto tempo fa, c’era una bestia piuttosto strana, chiamata Macli. Aveva la forma di un cavallo, ma era più grande. Ed era diverso dal cavallo, perché aveva il collo e gli orecchi straordinariamente lunghi.
Il Macli si nutriva di erbe, ma pascolava andando all’indietro. Proprio così, all’indietro. Perché il suo labbro superiore era lunghissimo, talmente lungo che, se fosse andato in avanti, quel labbro gli avrebbe coperto l’erba e chiuso la bocca.
Il Macli aveva le gambe tutte d’un pezzo, e perciò, quando voleva dormire, stava appoggiato ad un albero.
Correva con una velocità incredibile, slanciando avanti le gambe possenti, lunghe e diritte.
I cacciatori non riuscivano a catturarlo. Avevano provato a inseguirlo con i più determinati cani destrieri, avevano cercato di prenderlo al laccio, con imboscate, al varco, circondando i luoghi dove era solita pascolare, ma senza alcun risultato.
Niente! Quella bestia strana e scontrosa era davvero irraggiungibile.
Una notte di luna, alcuni cacciatori sorpresero il Macli nel sonno, e con grande stupore si accorsero che dormiva in piedi per via di quelle lunghe gambe che non poteva piegare.
Allora, senza farsi udire, si allontanarono.
La mattina seguente segarono quasi tutto il tronco di quella pianta e la sera si nascosero dietro ai cespugli vicini.
Il povero Macli, dopo il tramonto, tornò al suo solito albero; si appoggiò per dormire; il tronco si spezzò, la bestia cadde e i cacciatori lo catturarono.

Il pellicano e il serpente. Una favola di Leonardo da Vinci

Adattamento e messa in voce di Gaetano Marino

Quando il pellicano parti per andare in cerca di cibo, un serpente, ben nascosto fra i rami, cominciò a muoversi verso il nido.
I piccoli dormivano, tranquilli.
Il serpente si avvicinò, e con un lampo malvagio negli occhi iniziò la strage. Un morso velenoso a ciascuno, e i poveretti passarono immediatamente dal sonno alla morte. Soddisfatto il serpente ritornò nel suo nascondiglio, per godersi il ritorno del pellicano.
Infatti, di lì a poco, l’uccello ritornò.
Alla vista di quella strage incominciò a piangere, e il suo lamento era così disperato che tutti gli abitanti della foresta lo ascoltavano commossi.

  • Che senso ha ora la mia vita senza di voi? – diceva il povero padre guardando i suoi figli uccisi. – Voglio morire anch’io, come voi! –
    E col becco incominciò a lacerarsi il petto, proprio sopra il cuore. Il sangue sgorgava a fiotti dalla ferita, bagnando i piccoli uccisi dal serpente.
    Ma,’ ad un tratto, il pellicano, ormai moribondo, trasalì. Il suo sangue caldo aveva
    reso la vita ai suoi figlioli; il suo amore li aveva resuscitati. E allora, felice, diede l’ultimo respiro e morì.

Il Basilisco. Una favola di Leonardo da Vinci

Adattamento e messa in voce di Gaetano Marino

Nella lontana Cirenaica vive un animale pericolosissimo che si chiama basilisco. è un piccolissimo animale. Non è più lungo di dodici dita e ha una grande macchia bianca sulla testa cresposa che sembra un diamante. Al temuto Basilisco basta anche solo un fischio per mettere in fuga ogni serpente, anche se molto più grande di lui.
Invece di muoversi strisciando a spirale, come tutti i serpenti, il Basilisco corre veloce e dritto sollevando in aria il busto. Come fosse un guerriero fiero e possente.
È un animale terribile e velenosissimo. Accadde un giorno che un cavaliere tornasse al suo castello dopo un faticoso torneo, quando, all’improvviso il suo cavallo, s’imbizzarrì. Scansò da un lato, e si mise a nitrire spaventatissimo: veva visto il terribile Basilisco. Il cavaliere, che aveva la lancia in mano, subito colpì il velenoso serpente e lo uccise. Ma il Basilisco, prima di morire ebbe appena il tempo di mordere la lancia del cavaliere. Subito il veleno potentissimo del rettile incominciò a salire su per le fibre dell’asta, raggiunse la mano del cavaliere, e l’uomo e il cavallo morirono in un istante tra terribili sofferenze.
In quel momento arrivò un altro Basilisco, il quale, non potendo più uccidere nessuno, soffiò contro l’erba e contro i cespugli: così che l’erba e i cespugli inaridirono e seccarono, e i sassi si sbriciolarono come fosse sabbia.

Il testamento dell’aquila. Una favola di Leonardo da Vinci

Adattamento e messa in voce di Gaetano Marino

Una vecchia aquila reale, che viveva da molti anni solitaria sopra un’altissima roccia, sentì che l’ora della morte era vicina. Con un grido possente chiamò i suoi figli che vivevano sulle rocce sottostanti, e quando furono tutti riuniti intorno a lei li guardò uno per uno e disse:

  • Io vi ho nutriti ed allevati perché, fino da piccoli, siete stati capaci di guardare il sole. Ho lasciato morire di fame i vostri fratelli che non sopportavano la sua vista. Perciò voi siete degni di volare più in alto di tutti gli uccelli. Chi non vuol morire non si accosti mai al vostro nido. Tutti gli animali devono temervi, e voi
    non farete alcun male a chi vi rispetta, ma gli lascerete mangiare gli avanzi delle vostre prede.
    Ora io sto per lasciarvi, ma non morirò qui nel mio nido. Volerò in alto, fin dove mi porteranno le ali; mi protenderò verso il sole come se dovessi andare da lui. I suoi raggi infuocati bruceranno le mie vecchie penne, precipiterò verso la terra, cadrò dentro l’acqua.
    Ma da quell’acqua, per miracolo, rinascerò un’altra volta, ringiovanita, pronta a ricominciare una nuova esistenza. Così è la natura delle aquile, il nostro destino. –
    Detto questo l’aquila reale spiccò il volo: maestosa e solenne ruotò intorno alla roccia dove stavano i suoi figli; poi, all’improvviso, puntò diritta verso l’alto, per bruciare nel sole le sue ali ormai stanche.

Gratitudine. Una favola di Leonardo da Vinci

Adattamento e messa in voce di Gaetano Marino

Quella mattina le due vecchie ùpupe, un maschio e una femmina, una coppia di uccelli che vivevano da sempre insieme, non se la sentirono proprio di volare. Non avevano più forze. Un velo davanti agli occhi impediva loro di guardare il mondo; il cielo era sereno, ma loro vedevano una specie di nebbia bianca che le disorientava. Erano vecchie e malate. Le penne delle ali e della coda incominciavano a intristire, perdevano il colore e la luce, si inaridivano come rami secchi e cadevano.
Le due ùpupe decisero, così, di non muoversi più e di aspettare insieme la morte, che tanto non avrebbe tardato ad arrivare.
Ma, invece, arrivarono i loro figli. Giovani e forti ùpupe della foresta. Prima uno, che passava di lì per caso; si accorse subito che i suoi genitori erano gonfi e stavano male, e ripartì immediatamente in cerca dei suoi fratelli.
Quando furono tutti lì, il maggiore di essi disse:
— Noi abbiamo ricevuto da nostro padre e da nostra madre il dono meraviglioso della vita; essi ci hanno protetti, nutriti e allevati, dedicandoci tutto il loro affetto. Ora sono malati, son diventati quasi ciechi e non possono più volare per andare in cerca di cibo. Spetta a noi ora nutrirli e curarli.—
A queste parole senza nemmeno un cinguettare, tutti si mossero. Alcuni si misero a fare un nido nuovo, altri andarono in cerca d’insetti, altri, ancora, partirono verso la foresta.
In breve tempo il nido fu pronto e i genitori vi furono adagiati con delicatezza; per riscaldarli, alcuni figli li coprirono col loro corpo come fanno le femmine quando covano le uova; altri li imboccarono, altri, col becco, li ripulirono staccando le vecchie e tristi penne inaridite.
Finalmente tornarono anche quelli che erano andati nella foresta a cercare una foglia curatrice capace di rendere la vista. Masticarono la foglia curatrice e col succo di quella foglia medicarono gli occhi inariditi e spenti dei genitori. Poi attesero con pazienza. Poco dopo il padre e la madre aprirono gli occhi, si guardarono intorno e riconobbero tutti i loro figlioli. Li aveva guariti il loro affetto, la loro gratitudine.